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Divorare se stessa. È compito e destino di ogni città moderna. Non cancellare, ma assimilare il proprio passato, farne linfa vitale. Milano però ha stentato parecchio a digerirlo, Carlo Porta. A lungo dimenticato, frainteso, denigrato, ridotto a gaia macchietta o cantore di un Milanin perduto e rimpianto, solo da pochi decenni Porta viene collocato sullo scaffale dei gran lombardi insieme a Parini, Manzoni, Gadda, in nome di un binomio assurto a emblema: realismo e moralità.
Ma davvero esiste uno spago in grado di legare insieme autori così distanti? Davvero esiste uno Stadtgeist che attraversa illeso epoche e generi? Per rispondere a queste domande Mauro Novelli ricostruisce i lineamenti del carattere milanese tradizionale, che Porta trasfigurò, facendone un formidabile combustibile delle sue storie. « Busecconi », « lupi lombardi », che tutto - onore, denari, affetti ? pospongono alla soddisfazione del ventre.
Sino all'Unità d'Italia il tratto peculiare dello stereotipo meneghino fu la ghiottoneria, oggi cancellata persino dal ricordo, sostituita dalla cordialità, che per secoli le fece da semplice scudiero. Una rimozione paradossale, mentre Milano si candida a spiegare come « nutrire il pianeta », in occasione dell'Expo 2015. Siamo al cospetto del pi. grande narratore in versi dell'Ottocento italiano. Divora il tuo cuore, Milano esplora le tecniche con cui sono costruiti i poemetti portiani, e illumina l'attitudine a dar voce a servi, ciabattini, prostitute, damazze, con effetti di sorprendente intensità, che percorrono e oltrepassano di slancio i territori del comico.
Non « popolano di genio » ma scrittore di consumata perizia, Porta elaborò strategie narrative efficaci e originali, che subito ammaliarono il pubblico. Anche questo spiega le insofferenze che suscitò nella classe dirigente ambrosiana, e le censure che afflissero i suoi versi, inammissibili in quanto estranei alla celebrazione della serie Dio-patriapopolo-famiglia. Incline all'osceno, fustigatore del clero, attento alle ingiustizie sociali piuttosto che al nazionalismo, allergico alle mistificazioni populiste, Carlo Porta si tenne stretto ai valori del lavoro, alfiere di una nuova borghesia per la quale certo immaginava una parabola molto diversa da quella che la storia avrebbe disegnato.