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Davvero è esistita un'editoria femminista? Davvero può riguardare più di un limitato gruppo di attiviste? E a cosa può servire? Vera Navarrìa, ricostruendo il fervore culturale nato dalle istanze femministe e il ruolo svolto dalle case editrici che « vivevano per un fine ideale, dare voce alle donne, alla loro differenza, alla loro creatività », fa un quadro dell'editoria femminista europea, si sofferma su quella italiana e svela di avere « appreso con stupore che per alcuni anni il mondo ha conosciuto un circuito editoriale diverso [...] che nelle sue spinte più utopiche ambiva a fare da sé, a fare a meno del compromesso con l'editoria "tradizionale", capitalista, "degli uomini", [...] colpevole di non pubblicare abbastanza autrici e di essere il primo anello di trasmissione di una cultura pensata esclusivamente dagli uomini, dalla quale le donne si sentivano non rappresentate ed escluse ».
Di queste case editrici Navarrìa racconta genesi, modo di lavorare, copertine e storie personali di donne certe di avere qualcosa da dire e di poter rivendicare un ruolo rilevante. Tanto da far asserire a Monica Romano, nella postfazione, che « ancora oggi, sono le parole di altre donne a mettermi in salvo ».