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In questo memoir, uno dei sette sopravvissuti delle quindicimila persone torturate e uccise nella prigione S-21 Tuol Sleng dei Khmer rossi, racconta la propria storia e quella del perverso e paranoico regime di Pol Pot. Vann Nath era un pittore e il potere dell'immagine gli salvò la vita. È stata ritrovata la lista di prigionieri su cui campeggiava la scritta « distruggere » e dove il suo nome era stato sottolineato di rosso e affiancato da alcune parole: « tenere e usare ».
Da quel giorno il regime chiese a Vann Nath di dipingere ritratti di Pol Pot e questo gli permise di giungere vivo al 1979, quando la dittatura venne rovesciata. Vann Nath lavorò all'apertura del Museo del genocidio, all'interno della prigione S-21, e nei decenni successivi ripercorse coraggiosamente gli orrori del regime, dipingendo ciò che ricordava degli arresti, delle torture, degli omicidi. Paradossalmente, nell'immenso sterminio che costò la vita a un terzo della popolazione cambogiana, i Khmer rossi risparmiarono proprio colui che con la sua arte poteva riprodurre in immagini ciò a cui aveva assistito.
Vann Nath ha testimoniato al Tribunale speciale della Cambogia per la persecuzione di crimini commessi durante il periodo della Kampuchea Democratica, noto come Tribunale speciale per i Khmer rossi, e i suoi dipinti sono stati usati come prove, contribuendo alla condanna all'ergastolo di Duch, il feroce direttore della prigione, per tortura, stupro, omicidio e crimini contro l'umanità.